DESIGN E MOVIMENTO di Silvia Chiarolanza

Contemplare l’evento come principio demolitore dello spazio, mette in crisi l’idea canonica di progetto. Questo perché, con l’introduzione dell’azione, gli ambienti vissuti diventano imprevedibili e dinamici. Uno spazio infatti, non può semplicemente essere classificato e trattato in termini scientificamente oggettivi.

L’esperienza di ogni singolo utente sarà sempre influenzata da fattori incalcolabili che fanno parte dell’ambiente esterno o di stati d’animo presenti in quel singolo momento. Si può comprendere meglio lo spazio e la sua conformazione, attraverso lo studio del corpo e di come questo meccanismo vivente si relaziona con l’ambiente.

La percezione soggettiva dell’utente è di primaria importanza, per soddisfare i criteri di piacevolezza che uno spazio deve necessariamente offrire.

IL MOVIMENTO NELLA STORIA DEL DESIGN

L’architetto Bernard Tschumi, figura coinvolta attivamente nella ricerca della giusta relazione tra utente e spazio vissuto, suddivide il legame spazio – evento in due categorie:

  • simmetrica, nella quale lo spazio e il corpo si influenzano alla pari;
  • asimmetrica, se uno dei due predomina sull’altro.

Quando è lo spazio a dominare, può imporre violenze simboliche ai suoi abitanti.

E’ il caso di corridoi o spazi stretti in luoghi affollati, camere bianche di deprivazione sensoriale, scalinate troppo ripide o percorsi pericolosi.

Agli antipodi si colloca la Cucina di Francoforte presentata all’Esposizione del Werkbund a Stoccarda nel 1926. Progettata in ogni sua componente tenendo conto dei movimenti della casalinga, per facilitarne e favorirne l’esecuzione, rappresenta un modo rivoluzionario di progettare gli interni.

ERGONOMIA E PROGETTO

L’ ergonomia trionfa e prende il comando in fase progettuale.

Seguendo questa scia possiamo trovare i progetti dello studio Officine Architetti Napoli che opera in ambito residenziale seguendo questi principi. Nulla è lasciato al caso e ogni centimetro di spazio è studiato per soddisfare le esigenze di chi andrà a vivere quegli ambienti. Ma la funzionalità è coniugata all’estetica e al gusto delle forme lineari.

L’azione stessa diventa estetica grazie all’utilizzo della sfera sensoriale, attraverso la quale ci rapportiamo con il mondo esterno e conosciamo fino in fondo le persone e gli oggetti che ci circondano. In ogni movimento e in ogni gesto si nasconde un’accezione estetica che, seppur involontaria, è insita in ognuno di noi.

GLI INTERNI COME PALCOSCENICO

I semplici movimenti che compiamo ogni giorno hanno un senso e un fine ultimo. A volte spinti da un bisogno di primaria necessità, altre volte semplicemente dalla ricerca del piacere. Se parallelamente si esamina il movimento di un ballerino che danza, ci si ritrova davanti alla stessa identica conclusione.

La difformità è soltanto nell’esigenza che è alla base del movimento: nel caso della danza è di natura immateriale e non tangibile; Il desiderio di esprimere attraverso il proprio corpo una necessità emozionale.

Sebbene differiscano gli stimoli di partenza, sia un ballerino che una persona comune, nel momento stesso in cui sceglie di muoversi, stabilisce anche di interagire con lo spazio e di plasmare al suo interno delle figure.

Dato per certo che il movimento danzante è connesso ed è simile dal punto di vista estetico, al movimento comune, non può essere un dato trascurabile in fase di progettazione.

Ogni spazio ha una serie di utenti che muovendosi, creano traiettorie e figure proprio come ballerini in una coreografia.

Prendendo in esame un soggetto, che si muove in un determinato spazio, si possono mettere in evidenza le carenze e gli ostacoli spaziali che gli impediscono di portare a termine in totale libertà i suoi gesti, al fine di favorire movimenti esenti da vincoli, divenendo a tutti gli effetti delle danze.

CONCLUSIONE

Queste considerazioni mi portano ad osservare il panorama progettuale con una visione teatralizzante. Si può prediligere la rassicurante seduta in platea o essere parte integrante della scena.

Bisogna avere il coraggio di addentrarsi nel cuore della rappresentazione e vivere ogni sfida progettuale come la metafora di un palcoscenico, nel quale, gli individui che lo abitano, sono inconsapevoli performer dello spettacolo della vita.